12.11.18

CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE - Disegnare nella mente

Disegnare è un gesto semplice. Non c’è un modo. Un solo modo, intendo. Non c’è giusto o sbagliato. Scarabocchio, bozzetto, segno grafico, quadro. C’è il fare, in modo personale.

La parola “disegnare” deriva da “signum” che significa “segno”, ed è proprio con un gesto in cui usiamo un “segno” che, consapevolmente o inconsapevolmente, esprimiamo una parte significativa di noi.
“Signum”, come termine, è collegato al verbo tagliare, risulta quindi il prodotto di un taglio. Lo sapeva bene Lucio Fontana: “[…] io buco; passa l’infinito di lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere […] invece tutti hanno pensato che io volessi distruggere: ma non è vero io ho costruito, non distrutto.”.

Il disegno è un passaggio, una via, un trasportare noi stessi, fuori. Anche in un appunto. In una scritta veloce. In una calligrafia. Ricreiamo un mondo che ci descrive. Un invisibile reso visibile.

Lo facciamo anche quando comunichiamo. Disegniamo nell’altro. La parola diventa strumento. Il pensiero segno che si muove nella mente. Così anche con la scrittura. Vuole essere disegno, ricerca di un passaggio, dalla punta delle dita alla mente di chi legge.

È questo quello che ora farò. Inizierò a disegnare una storia. La scriverò qui. A mio modo. Con i tempi che ho a disposizione. Scriverò e disegnerò una storia. E se vorrete, mi leggerete, mi lascerete passare.

Paul Klee è riuscito nel suo bel mondo che si è sempre creato a tirare fuori una frase che adoro: “Il disegno è l’arte di condurre una linea a fare una passeggiata.” Sorrido, anche quando camminiamo, stiamo disegnando.

Post dopo post racconterò la storia di un incontro. Di gesti. Di intenti. Di sentimenti. Andrò a comporre la forma che la vita assume, quando ad un certo punto desidera rivelare perché siamo qui. Quando svela il disegno che siamo.

Un piccolo gesto da niente, che è quello che mi piace fare. Saranno parole di passaggio collegate in una storia, per amplificare la voglia di idee, dentro di me, dentro di voi, se vorrete.

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Quadro di Lucio Fontana "Concetto Spaziale, Attese" 1968 Tecnica mista
Attesa (o attese in caso di più tagli, in questo caso 7, il mio numero preferito) è come chiama le sue tele lacerate Lucio Fontana. Trovo che non poteva pensare ad un titolo mentalmente più adatto e intrigante di questo per costruire uno spazio a parole alternativo, forte e penetrante come i tagli. L’attesa è dopotutto uno squarcio nella nostra esistenza, un pensiero che può vagare, che ci consente di proiettarci fuori.

Accanto mia figlia Viola alle prese con i gessetti per strada. Lei si sdraia e disegna intorno a lei. Non potevo non farle una foto. Gioca e fa sognare il mio mondo. Lei per me è poesia.



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