21.6.18

Una sera senza pareti

Ci sono sere in cui tutto scompare. Si allontanano le sensazioni dolorose, le luci troppo forti, le scale difficili da salire, le distanze che scombinano e affannano il cuore e le parole, anche le più piccole e fragili, che è ora di dimenticare.

Questa è una di quelle sere. C’è una strana calma, ma non è presente fuori è sotto la mia pelle. Si fa buio dove prima c’era luce. È una sera senza pareti, aperta e distesa. Inizio a ballare scalza, ci sono corde pizzicate e violini al posto del vento. I capelli raccolti e il collo scoperto, i tamburi che vengono a cercare il mio respiro. La musica è aria che mi gira attorno e io scompaio dal mondo.

 - Fanno sempre questo effetto i teatri vuoti?

Riapro gli occhi e le mie fantasie si chiudono.
La sua voce è così vicino che sento le sue labbra sul collo. Le parole le ha appena sussurrate. Potrebbe mordermi, ma so che non lo farà.

Non mi muovo. Se magari lo ignoro, svanirà come ha già fatto altre volte. Anche se poi lontano non lo sento mai, neppure ora che il silenzio è ormai incalcolabile.

Sono in un teatro vuoto. Un piccolo teatro. Cerco la platea nel buio, mentre qui seduta in galleria le uniche luci provengono da fuori e dalle porte socchiuse. Le voci sono distanti e sono rumori di noiosità da dirsi nei tempi d’attesa. Sul palco solo qualche oggetto di scena, una sedia bianca, il sipario aperto e mal tirato.

- Non dovresti stare qui. - Continua lui e mi sfiora la nuca con le dita.
Un brivido come uno sparo mi centra e perde di intensità solo arrivando nelle gambe. Se mi tocca ancora e per sbaglio sollevo i tacchi, penso, probabilmente per l’assenza di massa a terra, mi si incendieranno i capelli.

- Nemmeno tu. - Mi guardo le mani e la mia voce forse l’ho sentita solo io.
- Dovrei portarti subito fuori da qui - È in piedi dietro di me e ha alzato il tono di voce.
- Difficile - Porto una mano sulla nuca, forse per difendermi.
- Non credo, ho doti di convincimento notevoli – sta sorridendo e mi sta guardando, lo sento dalla voce. Non ho dubbi, penso, riferito alle doti.
- Vuoi rimanere qui, quanto me. - mi affretto a dire - Questo teatro al buio è bellissimo. -

In un lampo prende posto accanto a me.
- Hai ragione. - Dio quanto mi è mancato.
- È un luogo carico di attese, visto così. Dove si attende l’inizio. Vedo le persone che prendono posto, il brusio diffuso, chi si sposta, chi gira a vuoto.
Le sue mani si muovono nell’aria di fronte a lui.
- Tu prima a cosa pensavi?
- Al dimenticare - E seguo le sue mani.
- Un teatro ti fa pensare di voler dimenticare? - Ci guardiamo per un attimo.
- Sì.
- Perché?
- È tutta una messa in scena. Quando è il momento si deve cambiare scenografia, dopo aver ripetuto la stessa scena mille volte, avanzare da un luogo all’altro e dimenticare quello che può essere ritenuto inutile. Anche i ricordi scompaiono, se siamo bravi a difenderci.

Guardo le sedie vuote, sono posti da riempire, spazi che continuano ad essere occupati e poi liberati.
- Chissà io che ricordo sono - Dice piano.
Sto in silenzio un attimo.
- Di quelli che vuoi dimenticare, ma non ci riesci e allora li lasci liberi di fare ciò che vogliono. - Mi volto e lo guardo - Anche farti entrare in un teatro vuoto, per immaginati in un’altra vita dove riesci perfettamente a dimenticare. - Distoglie gli occhi. Mi sembra di vederli già svanire.

Quello che accettiamo ci trasforma, ci fa crescere.
Quello che invece continuiamo a non accettare ci incatena e ci impedisce di cambiare.

Chiudo gli occhi. Sciolgo i capelli. Il mondo è tutto nella mia testa e sta ballando scalzo. Musica.


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