10.3.18

26 dicembre 1954. La chiave è sentire.

Mossi e neri i suoi capelli, gli stessi che ho anch'io. Aveva diciassette anni. Era il 26 dicembre del 1954. Correva per strada con una cugina e un'amica per raggiungere il cinema di paese.
Era tardi, il film era già iniziato. Il fiatone e il caldo di colpo entrando. Si ritrovarono tutte e tre schiacciate sulla parete di fondo, in piedi e al buio.
Intanto fuori, correva anche lui, con tutti gli amici al seguito. Il tram si fermò e ripartì senza che nessuno di loro riuscì a far nulla. Per pochi metri persero quel viaggio. Ansimando si ritrovarono tutti alla fermata e alle loro spalle l'entrata del cinema. Una decina di passi, forse venti al massimo. In quello spazio una nuova trama. Non lo sapeva mio padre, non lo immaginava mia madre.
Decisero di entrare nel cinema, faceva troppo freddo. Ci mise poco a vederla o, come ha sempre faticato con noi a confessarlo, a riconoscerla. Riuscì a mettersi accanto a lei. Nessuno dei due ricorda quel film, non la trama, non gli attori e nemmeno una scena. Faceva ridere, è l'unica cosa univoca. E infatti risero. Erano sul fondo di un cinema a Nova Milanese al buio o semi buio in piedi uno accanto all'altra e ridevano. Mio padre aveva ventuno anni, è sempre stato un uomo spiritoso, vivace e di compagnia. Lo è ancora oggi. Lei timida, gentile, bellissima. Io li vedo lì, pieni di luce e felici.
Si erano già visti. Lui aveva notato lei e lei aveva già fatto caso a lui. Una volta però, non è che si poteva dar troppa confidenza soprattutto per strada. Poi i cortili, le corti, erano micro mondi rivali e collegati, pieni di pettegolezzi. Nessuno sapeva, ma tutti parlavano, soprattutto le donne fuori dalla chiesa. Mia madre andava a prendere il latte nella corte di mio padre. Erano invisibili a tutti i loro sguardi. Invisibile il loro sentire.
Fuori dal cinema i due gruppi si stavano separando, quando lui su due piedi salutò gli amici e raggiunse mia madre dicendole di dover passare a prendere le sigarette, poteva, voleva fare un pezzo di strada con lei. E qui ci sono diverse cose da dire.
Primo. Da figlia, già, ne sono certa, iniziai ad amare il mio futuro padre per la passione che dimostrò, anche se non ero ancora niente, nascosta in qualche punto buio e inaspettato della storia.
Secondo. Mio padre dato che sapeva esattamente che la corte di mia madre era di fronte al tabacchi del paese significava solo una cosa: l'aveva già vista, notata e sapeva pure dove abitava e che quell'occasione era risuonata nella sua testa come un "adesso o mai più". Cosa che da uomo tutto d'un pezzo ha sempre faticato ad ammettere.
Terzo. E ultimo. Ovviamente lui non fumava, non aveva mai fumato e non fuma neppure tutt'ora.
La accompagnò e parlò un po', anzi un bel po', con lei. La lasciò sulla porta di casa rallentando il passo, come si fa quando te ne devi andare, ma non vuoi. Era ormai notte, le prime ore del 27 dicembre e improvvisamente faceva meno freddo di qualsiasi altra notte di tutti gli anno addietro. Mio padre si dichiarò quella stessa sera. Niente più "filarini" per lei, niente più "tusan" per lui. Si volevano, entrambi. Per questo e molto altro ancora, ho questo pensiero passionale. Amo la poesia e le parole romantiche. I colpi di scena. Non da romanzetto rosa. Amo teneramente la passione quella che deriva dalla radice latina "pateo" che significa "estendersi" "sentire". La chiave è per me, sentire.

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